E’ iniziata la somministrazione dei vaccini anti sars-covid 19 e si fronteggiano, in assenza di norme specifiche sull’obbligatorietà vaccinale, esigenze e responsabilità di diversa natura, in particolare in quegli ambiti dove i lavoratori operano a stretto contatto fra loro e/o con gli utenti (ad esempio nelle strutture sanitarie, sociosanitarie, scolastiche, ecc.).
Alla libertà individuale di farsi o meno somministrare il vaccino in assenza di norme specifiche (come previsto dall’articolo 32 della Costituzione, che, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, però, potrebbe essere limitata da una norma ad hoc quando “il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri…”) si contrappongono le esigenze e gli obblighi dei datori di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 del codice civile, di preservare l’integrità fisica dei lavoratori nell’ambiente di lavoro e degli utenti, nonché l’obbligo dei lavoratori, ai sensi dell’art. 20 del D. Lgs. n. 81/2008, “di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro”.
Detto che il vuoto normativo provoca incertezza sull’applicabilità di misure anti-contagio più restrittive di quelle previste dai protocolli d’intesa, vi sono, però, strutture lavorative nelle quali la vaccinazione risulta determinante per la sicurezza degli altri lavoratori e degli utenti.
Il lavoratore che rifiuta, senza adeguata giustificazione, il vaccino, dovendosi escludere la responsabilità disciplinare per un comportamento consentito dalle norme, potrebbe essere (i) assegnato ad altre mansioni, anche inferiori con il suo consenso e nell’impossibilità del c.d. repechage, (ii) licenziato per giustificato motivo oggettivo, considerando che la condotta del lavoratore che rifiuta il vaccino costituisce un oggettivo impedimento alla prestazione di lavoro (vanno, però, considerati il blocco dei licenziamenti e le obiezioni mosse dalla dottrina secondo cui l’inadempimento sarebbe temporaneo e non giustificherebbe, quindi, il licenziamento), (iii) sospeso ai sensi degli articoli 1256 e 1464 del codice civile, tenuto conto che, secondo la Corte di Cassazione, “in presenza di una sopravvenuta temporanea impossibilità della prestazione lavorativa (…) il datore di lavoro è autorizzato a rifiutare la prestazione lavorativa senza che si abbia mora credendi”.